mercoledì 8 febbraio 2012

Il buio oltre l'art. 18.

Ciclico come un monsone in Indocina, ritorna il dibattito sull'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Da una parte la CGIL, qualche partito populista e una marea di idioti pronti a difenderlo a spada tratta, dall'altra il Governo, qualche partito populista, la Confindustria e una marea di idioti pronti a cancellarlo.

Ma cosa dice l'art. 18?

"Ferme restando l’esperibilità delle procedure previste dall’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell’articolo 2 della predetta legge o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo , ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di 15 prestatori di lavoro o più di 5 se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro [...]".

Fermi tutti! Volete dirmi che l'art. 18 si applica solo alle aziende con più di 15 dipendenti? Volete dirmi che se un datore di lavoro con 14 dipendenti mi vuole licenziare, lo può fare anche senza giusta causa o giustificato motivo e al massimo sarà costretto a pagarmi alcune mensilità? Ecco, esattamente.

Certo, c'è da dire che in Italia sono le imprese medio-grandi (con più di 50 dipendenti, tanto per capirci) a fare la parte del leone. 
Ah, non è così? Ah, secondo i dati ISTAT il tessuto produttivo italiano è composto per il 94,7% da microimprese (3-4 dipendenti).
Il buon ministro Fornero, però,  mi dice che il 65% dei lavoratori dipendenti in Italia sarebbe coperto dall'art. 18, nel senso che lavorerebbe per aziende con più di 15 dipendenti.
Dal calcolo esclude i lavoratori autonomi, cosa che, altrimenti, porterebbe la percentuale dei lavoratori "tutelati" a meno del 46% e, evidentemente, tutte le altre forme di lavoro para-autonomo (contratti a progetto et similia), che, presumibilmente, farebbero scendere ulteriormente la percentuale.
Diciamo, tanto per star larghi, che forse il 40% dei lavoratori hanno questa tutela, mentre un buon 60%, almeno, già ora non ne ha.

E diciamo anche che il dibattito è tanto fondamentale per tutte le parti in gioco (quelle che poi decidono, non voi lavoratori) perché tutti (loro) hanno interessi da difendere.

La CGIL conta(va) nel 2010 5.748.269 di iscritti. Numeri altisonanti, senonché i lavoratori attivi sono solo 2.661.183, meno della metà. Gli altri sono pensionati con la loro tesserina in tasca e vecchi schemi mentali nel cervello. Gli under 35 risultano essere il 22,5% degli iscritti, mentre meno dell'1% degli iscritti è lavoratore atipico. La tipologia di lavoratori più iscritta? I lavoratori pubblici, quelli che dell'art. 18 se ne sbattono altamente visto che sono già ultragarantiti.
Togliamo i 400.000 lavoratori pubblici dagli iscritti, dei poco più di due milioni di iscritti della CGIL, dove credete che questi lavorino? Esatto, nelle grandi imprese, quelle interessate dall'art. 18.

Ma Confindustria? Be', forse non tutti sanno che (cit.) gli iscritti a Confindustria pagano una quota annuale di iscrizione in base al numero dei propri dipendenti. Ora magari vi spiegate perché ci tenevano tanto a che la Fiat non ne uscisse, vero? E, quindi, secondo voi, quali imprese cercheranno di difendere di più se non quelle che più pagano in termini percentuali?

Fermi tutti! Si sta qui sostenendo che quello dell'art. 18 è un falso problema, che non riguarda la maggioranza dei lavoratori ma semplicemente uno scontro tra entità del mondo del lavoro a tutela dei propri iscritti? Ehm...

Ma forse il problema più serio per uno Stato che si trova a dover gestire un debito pubblico spaventoso (oltre che con l'illuminata decisione di aumentare indistintamente le tasse) non sarebbe quello di risparmiare eliminando o, comunque, diminuendo la CIG, strumento ormai abusato sia da imprese che dai lavoratori?
E non sarebbe il caso di diminuire il costo del lavoro per le imprese? Possibile che un lavoratore part-time costi ad un'impresa quasi il 75% di un lavoratore a tempo pieno, pur lavorando la metà delle ore? Possibile che un lavoratore a progetto costi ad un'impresa così poco? Possibile che non ci siano controlli in tutte quelle aziende che abusano di questi contratti? Possibile che uno Stato (o, nel caso dell'Italia, uno stato) non sia in grado di monitorare la situazione per evitare abusi? Possibile che si parli del futuro dei giovani in relazione all'art. 18 quando di fatto la maggioranza di questi benedetti giovani dall'art. 18 non riceveranno mai alcuna tutela?

E se mi si rispondesse che il problema sono i giudici? Che non è possibile arrivare ad una sentenza dopo 3 anni di contenzioso impresa-lavoratore? Che non è possibile che un lavoratore sorpreso a rubare venga reintegrato sul posto di lavoro? Be', ma allora si faccia una legge in cui si elencano alcuni casi che, una volta conclamati, escludino la possibilità della reintegrazione. E vi siano più giudici e processi con meno formalismi per arrivare prima a sentenza.

Ma soprattutto, perché farci perdere tempo in un dibattito vetusto sull'eliminazione di un baluardo ideologico come l'art. 18 quando il Paese muore a causa di decenni passati a fare dibattiti vetusti sull'eliminazione di un baluardo ideologico come l'art. 18?


 

3 commenti:

  1. Se potessi stamperei questo post in milioni di copie da attaccare per tutta Roma! (e non solo, ma è lì che vivo)così da fare aprire gli occhietti a molti.
    Un post lucidissimo, complimenti!

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  2. Be', il post è sotto licenza CC, quindi vai tranquilla :D

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