venerdì 21 maggio 2010

Come e perché non diventare avvocato (vol. 1)

Parlavo qualche giorno fa con una persona intelligentissima, una di quelle che vorresti conoscere una volta nella vita, magari quando sei appena nato, così ti togli il pensiero e poi sei tranquillo per il resto che ti tocca vivere.

Ecco, dicevo, parlavo, per la precisione era lui che parlava a me, io fumavo, del lavoro, della crisi e ad un certo punto viene fuori che, secondo lui, i liberi professionisti sono quelli messi meglio perché, in fin dei conti, fanno tanto nero.

(un ragionamento economico così raffinato non lo si sentiva dai tempi dell'ultima dichiarazione di Trichet)


Così, ho iniziato a pensare all'evoluzione di un avvocato.

4 anni di università che ti formano in nulla, dandoti giusto le basi giuridiche e tenendoti ben lontano dalla scrittura e dalla vita del Tribunale (probabilmente basterebbe organizzare dei piccoli tour nei giorni delle udienze civili, perché molti capiscano che non stiamo parlando di Perry Mason negli USA e abbandonino ogni velleità forense).

Poi ti laurei e quando hai finito di ubriacarti inizi a guardarti in giro.

Le strade più comode che vedi di fronte a te sono quella del praticantato, ovvero quella di lavorare in una banca.

(in pratica, ti ritrovi nel dilemma manzoniano del "non resta che far torto o patirlo")

Ad ogni modo, se uno ha un minimo di rettitudine morale non può che decidere di iniziare col praticantato per diventare avvocato (con il che ben si capisce quanto abbia stima delle banche).

Due simpatici anni che si articolano nel seguente modo:

1) Orario di lavoro inesistente: ogni giorno finisci quando hai finito.
2) Nessuna tutela: se sei malato ma hai qualcosa in scadenza, devi lavorare.
3) Nessuna soddisfazione: per il primo anno, fai fatica a ricordarti persino quante marche da bollo vogliono in Tribunale per questa o quella copia. I clienti non sono i tuoi. Nessuno ti ha mai insegnato come scrivere un atto, quindi i primi che redigi vengono segati senza pietà dal tuo dominus. Non hai un capo, hai un dominus. Gli avvocati che ti vedono, non ti considerano loro pari. I Giudici che vedi, non ti considerano. I Cancellieri cui ti rivolgi, non ti vedono neanche.
4) Milioni di adempimenti imposti dal tuo Ordine: comprensivi di udienze da seguire, pareri da redigere, verbali d'udienza da fotocopiare per certificare l'effettività della propria pratica, e quant'altro. Ah, sì, ci sono anche un po' di versamenti da fare, marche da bollo, e quant'altro.
5) Nessuna paga: sì, ecco, era un dettaglio che mi sfuggiva, ma, salvo che in alcune realtà, i praticanti non vengono pagati. Giusto? Sbagliato? Tutto ciò non interessa ai fini di questa disamina, ma è un dato di fatto.

Passati i due anni, si può iniziare a dare l'esame (una volta all'anno, lo scritto a dicembre, i risultati a giugno dell'anno successivo, l'orale in un mese compreso tra settembre e gennaio dell'anno ancora dopo, tanto per dire).

Ad ogni modo, passato l'esame (e la faccio breve, ché passare l'esame sarà argomento a se stante) succedono le seguenti cose:

1) Vostra madre si ubriaca per la felicità.
2) La vostra ragazza si ubriaca per la felicità e inizia a coltivare il sogno di fare la mantenuta.
3) Vostro padre si ubriaca e inizia a pensare che potrà permettersi quella famosa crisi di mezzetà che ha dovuto sempre rimandare.
4) I vostri parenti si ubriacano per la felicità di poter fare causa al vicino di casa gratis.
5) Voi vi ubriacate perché sapete bene che ormai non potete più scappare dalla professione.

E non avete ancora iniziato a lavorare...