[Premessa: esiste una persona in Italia che (questi sono punti fondamentali, poi scoprirete perché) 1) legge con attenzione questo blog, 2) gli piace ciò che ci sta scritto, 3) è frustrato dal fatto che si aggiorna con una cadenza che ricorda il ricambio della corte costituzionale americana. Dopo avermi sollecitato più volte, senza alcun esito, ha scritto un pezzo per me, dicendo "Mettilo su a nome tuo, almeno fai uscire qualcosa...". Nel pezzo descrive la giornata tipo di un avvocato, pur senza esserlo. Il dramma è che, bene o male, azzecca quasi tutto. "Come avrà fatto?". Ritengo sia bastato pensare al peggio che c'è in Italia. Che è anche uno dei motivi per cui questo blog fa fatica ad aggiornarsi (al di là del tempo, del lavoro, della squadra di basket e del futuro erede in arrivo). L'Italia sta facendo vomitare ed è dura scrivere con leggerezza. Ad ogni modo, visto che gli avvocati sono notariamente persone di cuore, non me la sono sentita di appropriami del suo pezzo, quindi lui è uno che si firma KGB, non vuole il proprio nome, non vuole link al proprio blog. Il che farebbe pensare ad un tipo sveglio. Ma ricordatevi dei 3 punti iniziali - Castorovolante].
Coda, anzi codissima. In teoria l'Ufficio Archivi apre alle 9:00, col
cappuccino anche alle 9:15, ma alle 8:00 la fila è già lunghissima.
Evidentemente molti colleghi hanno avuto la mia stessa idea: partire di
casa presto, essere tra i primi all'apertura, prendere i faldoni,
fotocopiarli rapidamente, restituirli e poi correre in ufficio...
Mentre sono in coda faccio la stima di quanto tempo occorrerà per
arrivare allo sportello dell'archivio. Subito preferisco dimenticare la
mia stima: però, sentendomi non abbastanza apprezzato, cambio idea e mi
limito a sperare per il meglio.
La fila non si muove e la tensione è alta: involontariamente un biondino
sui trenta pesta i piedi a un collega dai capelli scuri, leggermente
brizzolati e dallo sguardo cattivo. Subito scoppia un alterco: il primo
alza il dito come per dire qualcosa ma l'altro non gli fa aprire bocca e
lo atterra. Il moro è infatti un avvocato alfa dominante e al biondino
inchiodato al suolo non resta che esporre la cravatta in segno di
sottomissione: il moro accetta la resa e, per rimarcare la sua
superiorità, gli schizza addosso un decreto congiuntivo ordinandogli
«Che egli si rialzasse!»
Poi la mia segreta speranza si avvera: l'Apple Store accanto al
tribunale apre i battenti e un buon numero di geometri con T-shirt
raffiguranti squadra e compasso, evidentemente in attesa del nuovo
iMaxOne, abbandonano la fila. Ancora meglio, con un ritardo di qualche
minuto dovuto a problemi di lingua, un'intera famiglia di eschimesi
lascia la coda per entrare nell'Apple Store alla ricerca di un iGloo.
Fra avvocati, qualcuno che fa la fila sbagliata per entrare in un Apple
Store, lo chiamiamo “iDiota”...
Dopo un'altra ora, entro finalmente nell'ufficio vero e proprio, tutto
tappezzato di vecchi annunci e informazioni varie vecchie di decine
d'anni. All'altra estremità della stanza c'è un divisorio di vetro con
tre sportelli: ovviamente solo uno è aperto.
Attraverso il suo vetro sudicio è possibile osservare un altro mondo
dove il tempo scorre più lento e gli impiegati sembrano muoversi al
rallentatore: un regno beato, di tepore, profumo di caffè e chiacchiere
fra colleghi, dove solo i noiosi avvocati, in fila nel mondo reale,
turbano quel placido nirvana con le loro assurde richieste di faldoni
polverosi. Fra avvocati questo lo chiamiamo “giardino zen”.
Come spesso accade, un ragazzo in fila si sente male e crolla al suolo
come una pera. Subito un suo amico lo soccorre e, accortosi che è privo
di conoscenza, gli prende il portafoglio e lo ripulisce dei (pochi)
contanti. Fra avvocati questa la chiamiamo “amicizia”.
Poi a turno, via via che la coda (lentamente) scorre, passeggiamo sopra
il suo corpo: un'avvocatessa piuttosto corpulenta accenna pure a dei
passi di twist sugli zebedei del tizio. Io, nel mio piccolo, mi limito a
tirargli un paio di calci analettici al petto per aiutarlo a
ripristinare la funzione respiratoria. Comunque ognuno dà il proprio
contributo e alla fine, quando arriva l'ambulanza, è già cadavere. Fra
avvocati questo lo chiamiamo “gioco di squadra divertente”.
Alle mie spalle però una giovane praticante, probabilmente appena uscita
dall'università, appare pallida e impaurita per la scena di ordinario
squallore. Siccome è molto carina le rivolgo la parola per darle un
consiglio «Guarda che tu sei ancora in tempo, sai? Più che il culo io
non posso dare ma tu hai anche altre possibilità e puoi adire altre
strade...»
Sul momento non sono sicuro che abbia compreso la mia velata allusione
ma la settimana dopo mi è parso di riconoscerla, seppure abbigliata e
truccata molto diversamente, lungo viale Europa mentre alla luce di un
lampione il pappone marocchino le passa una dose in cambio dei guadagni
della serata: mi è parsa molto felice e realizzata. Fra avvocati questo
lo chiamiamo “lieto fine”.
Finalmente arriva il mio turno: passo al sonnolento impiegato gli
estremi dei fascicoli che mi servono con la relativa manciata di marche
da bollo. Questi, con esasperante lentezza, si dirige a prendere i
documenti nell'archivio vero e proprio. Lungo il cammino dà pacche sulle
spalle a un amico, congratulandosi e ridacchiando per qualcosa che non
riesco a capire, poi prende un tè con biscotti con delle colleghe e
infine sparisce nella stanza accanto. Siccome non ritorna mi azzardo a
picchiettare sul vetro per richiamare l'attenzione di qualcuno:
stranamente mi sente e, come disse il pene alla vagina, mi risponde «Ora
vengo!» Ovviamente si è dimenticato un faldone: con uno sbadiglio si
rialza e ripercorre lo stesso cammino di prima ma in senso inverso:
ovvero passa dalle colleghe a prendere il tè, con pasticcini stavolta, e
solo dopo si congratula con l'amico.
Finalmente torna da me e, prendendosi in pegno la mia carta di identità,
mi consegna un polveroso pacco di faldoni. Fra avvocati questo
andirivieni lo chiamiamo “iter amministrativo”.
Mentre corro alla fotocopiatrice do una scorsa ai documenti e ho una brutta sorpresa...
Oltre alle macchie d'umidità, alle muffe e all'inchiostro sbiadito che
fanno sembrare le lacere pergamene molto più vecchie delle loro poche
settimane di vita, trovo nel bel mezzo di un faldone un topino
schiacciato e mummificato! «Che schifo!» penso: se almeno si fosse
trattato di una topina, anche se pelosa, l'avrei potuta leccare via. Fra
avvocati questa la chiamiamo BONA, ovvero: “Buona Opportunità Non
Attuata”.
Ovviamente anche per la fotocopiatrice c'è una coda chilometrica. Fino a
qualche mese fa non era malaccio: la protezione civile passava e ci
distribuiva bottigliette d'acqua e coperte.
Poi qualche cretino deve avergli spiegato che, nonostante la coda, si era nei corridoi degli uffici giudiziari e non sull'A4...
Peccato però: la coperta era inutile e l'acqua non necessaria (gli
avvocati, come i cammelli nel deserto, non necessitano di bere perché
hanno la loro scorta privata nella gobba) però era divertente fingere di
aprire il finestrino e spegnere il motore della macchina per
risparmiare benzina...
Fra avvocati in questi casi diciamo: “Con questo traffico non dovevo prendere l'autostrada, cazzo!”
La moretta in fila davanti a me è molto carina e mi fa tornare in mente
quando lavorai a una pratica per Sasha Grey (per chi non la conoscesse è
una famosa attrice di film per bambini). Tutto andò per il meglio e
alla fine, proprio come sognavo, mi chiese sorridendo allusivamente (si
passava la lingua sul labbro superiore come fosse un tergicristallo...)
«In che maniera preferisci che ti paghi la parcella?».
Apro un inciso che c'entra poco ma che ha il pregio di far aumentare la
suspense: non molti lo sanno ma Sasha Grey parla benissimo italiano.
Infatti suo nonno materno è originario di Atene e lei stessa ha sempre
avuto un rapporto molto intenso, direi passio-anale, con la Grecia.
Così le risposi: «grenw ple...»
Sasha (slacciandosi la camicetta e appoggiando molto amichevolmente la
sua gamba destra sulla mia spalla) : «Sei sicuro di preferire un
assegno? Non vuoi far conoscere, biblicamente, al tuo timido castoro la
mia marmottina, quasi, illibata?»
E io: «gneeeg...»
Così lei, molto seccata, firmò l'assegno e se ne andò. Probabilmente,
con il senno e cullo di poi, avrei potuto giocare meglio le mie carte ma
'sta cosa della Grecia mi aveva confuso le idee...
Fra avvocati questa la chiamiamo mega-BONA mentre Sasha è una mega-... vabbè, lasciamo stare...
Finalmente, mentre già mi dico «anche questa è fatta!», arrivo alla
vetusta fotocopiatrice, vi inserisco una moneta da 20 centesimi, premo
il grosso tasto verde “Start” e... niente... così ripremo “Start”,
questa volta più lentamente, bene fino in fondo come se spingessi la
supposta nel culo di un giudice e... niente... con panico crescente
inizio a premere ripetutamente “Start”... ma ancora niente di niente...
In questi casi ci sono solo due possibilità e tertium non
datur: o il tasto non funziona o la fotocopiatrice è rotta o
qualche impostazione non è corretta o è finita la carta igienica o un
foglio è rimasto bloccato all'interno o c'è una brutta congiunzione
astrale oppure qualcosa d'altro.
Ma siccome sono un avvocato e, quindi abituato a vivere situazioni
estreme di questo tipo, rapidamente riprendo il controllo e mi arrischio
a guardare il display lampeggiante: come temevo, in bella vista,
campeggia la scritta “No Toner!”.
Come dice il proverbio “No toner, no party...” e appena lo dico ad alta
voce, nella fila alle mie spalle, si scatena il caos: un ragazzo si
lancia di corsa contro una finestra sfondandola e sfracellandosi, nella
generale ironia dei passanti, sulla sottostante via San Martino; una
ragazza invece si suicida avvelenandosi con la capsula di cianuro che
tutti gli avvocati hanno impiantata nel secondo molare: mentre rantola
sul pavimento si forma intorno a lei un capannello di uomini ma, essendo
decisamente bruttina, nessuno ne approfitta.
Fra avvocati questo si dice “avere il dente avvelenato” o anche “mai
mollare il molare per mala morale”: l'allitterazione ripetuta, pur di
scarso significato, non fallisce mai nell'impressionare i clienti...
Permettetemi una dialisi nel racconto: spesso, essendo io un vero
avvocato con non solo gli incisivi ma anche gli attributi giganteschi,
uso modi di dire che potrebbero essere non immediatamente comprensibili a
chi non è del nostro ambiente.
Mi riferisco, ad esempio, all'immagine usata poc'anzi della supposta
inserita nel vizzo posteriore di un giudice: l'avvocato ha sempre il
massimo rispetto per tale figura ed eventuali frasi, apparentemente
irriguardose, sono solo comuni e affettuosi disfemismi. Ad esempio,
quando fra avvocati ci vogliamo augurare buona fortuna, si suole usare
l'antifrasi “in culo al giudice” o anche “in culo alla giustizia”.
Quando tutto sembra perduto e io, in piena crisi mistica, sto gridando
«O padre mio onnipotente, perché mi hai abbandonato?!» sbuca dal nulla
un inserviente che dice «Ah, il toner è esaurito? Ora lo cambio...».
Senza parole per lo stupore alzo gli occhi al cielo e ringrazio
mentalmente il Grande Castoro che, dall'alto della sua Diga Celeste, ha
evidentemente rivolto il suo sguardo benigno su di me. Nel tripudio
generale ci abbandoniamo a una spontanea esultanza con sfrenati balli
tribali avvocateschi eseguiti al suono di tamburi improvvisati con le
ventiquattrore.
Sfortunatamente l'ora, da immediatamente, si trasforma in un'ora e mezzo
di caffè e chiacchiere al bar. Comunque il tecnico, una volta
riapparso, con insolita solerzia sostituisce senza problemi il vecchio
toner col nuovo.
Quando poi sto per completare le mie fotocopie ho lo spiacevole
contrattempo di esaurire le monetine da 20 centesimi, le uniche
accettate dalla fotocopiatrice. Beffardamente, proprio accanto a essa, è
presente una lucente macchina cambiamonete ma, da quando frequento gli
uffici giudiziari, è sempre stata rotta. Suppongo che sia stata messa lì
solo come mesta allegoria della giustizia italiana: ci sarebbe ma non
funziona.
Fortunatamente fra noi avvocati c'è molto cameratismo e il ragazzo alle
mie spalle mi vende tre monete da 20 centesimi per soli 20€. Fra noi
avvocati si usa infatti la seguente diafora: «L'interesse, se è senza
interesse, non è un interesse».
Finalmente sono in coda per riconsegnare i documenti originali e
riprendere la mia carta d'identità. Quest'ultima formalità, una volta
tanto, è in genere piuttosto rapida e infatti ci sono solo undici
persone prima di me: sfortunatamente è quasi l'ora di pranzo e così,
dopo pochi minuti, chiudono a chiave la porta dell'ufficio alle nostre
spalle e sguinzagliano i dobermann affamati nei corridoi per far
defluire rapidamente all'esterno tutti gli estranei.
Queste due ore extra di attesa mi fanno riflettere su come l'immagine
dell'avvocato nell'iconografia popolare sia distorta e fuorviante.
Intendo l'archetipo insito nell'inconscio collettivo: l'avvocato in alta
uniforme, sugli attenti, lo sguardo fiero fisso davanti a sé, tutto in
bianco con medaglie e nastrini colorati sul petto; insomma, per
intenderci, mi riferisco alla figura portata sul grande schermo da
Richard Gere in “Avvocati e gentiluomini”.
Credo invece che nella realtà gli avvocati siano molto diversi: la
fiducia nella giustizia e nel prossimo, la speranza in un futuro
migliore, la rigida disciplina che ci è imposta per tenere a freno la
nostra bonaria esuberanza, l'allegria che ci contraddistingue e
soprattutto le lunghissime file, caratterizzate da lazzi gioiosi e
birbonate, è molto meglio rappresentata in “Schindler's list” di Steven
Spielberg.
“La vita è bella” non posso fare a meno di pensare per associazione di
idee. Subito mi torna alla memoria un caso di qualche anno fa quando ero
stato nominato tutore legale di una ricca signora, ultra novantenne,
immobilizzata a letto. Ovviamente era senza parenti e l'unica assistenza
le era fornita da un'infermiera rumena molto affezionata che, per farla
felice, indossava sempre gli antichi monili d'oro dell'anziana
assistita. Ricordo che quando la signora mi vedeva, piangeva
disperatamente e implorava aiuto: evidentemente era malnutrita e
maltrattata. Subito lo facevo notare all'infermiera ricordandole le sue
precise responsabilità. A questi ricordi noi avvocati si dice «Bei
tempi: che risate!»
Con imbarazzo mi accorgo che i ricordi mi hanno provocato un'inopportuna
erezione. Così inizio a pensare alle cose più schifose che mi vengono
in mente: incidenti stradali, corpi mutilati, facce insanguinate,
“Mentre la notte va” della Pausini...
Grazie a queste fantasticherie a occhi aperti, le ore volano e, alle
17:28, dopo circa 9 ore, vengo abbondantemente allo sportello dove
riconsegno i faldoni originali e riprendo la mia carta d'identità. Come
si dice, con voce infantile, fra avvocati «Già fattooo??!»
Finalmente mi dirigo allo studio legale per iniziare la mia giornata
lavorativa di otto ore. Faccio un veloce calcolo e, considerando
un'altra ora per tornarmene alla mia diga dolce diga, tre ore di sonno,
mezz'ora per mangiare e lavarsi, venticinque minuti di quality time e
cinque minuti di sesso/droga/“Cugini di campagna” mi rendo conto che la
giornata durerà in tutto circa 30 ore. Questo significa che quattro
giorni come questo mi costeranno il sabato; ma siccome si lavora cinque
giorni la settimana, e in genere non sono fortunato come oggi,
probabilmente il “venerdì” terminerà domenica sera. A questo punto penso
che ci sono anche dei rompicoglioni, senza un cazzo da fare, che hanno
il coraggio di protestare se io non ho mezz'ora di tempo per aggiornare
il mio blog: mi piacerebbe provassero loro a scrivere un post bellissimo
come questo che, realisticamente e senza esagerazioni di sorta, dà un
onesto spaccato delle nostre problematiche quotidiane. Noi avvocati a
queste persone insensibili diciamo “Ma vaffa' in giudice!”.
- KGB -