mercoledì 28 marzo 2012

Basket Brescia Leonessa/Una storia italiana

(Si assicura il lettore che questa è veramente la grafica proposta dal sito della squadra e non un tentativo del presente commentatore di screditarne l'immagine)


C'era una volta, una trentina d'anni fa, una squadra di basket di Serie A a Brescia che, col tempo, andò a morire per mancanza di soldi.

Qualche decennio dopo, sembra che il sogno di tutti gli appassionati di basket bresciani possa avverarsi. Nel 2009, nasce, infatti, il Basket Brescia Leonessa.

Quello che la bulgara pagina di wikipedia omette di specificare è che la stessa nasce sì, grazie alla decisione del Presidente Bonetti di spostare la propria squadra (che vivacchiava in A Dilettanti - la serie C1 del calcio, tanto per capirci) da Cremona a Brescia, ma anche grazie a due personaggi di un certo peso, il neo sindaco della città, Adriano Paroli, che ha passato la campagnia elettorale a ribadire l'importanza del basket e della pallavolo a Brescia e che garantisce l'appoggio politico dell'amministrazione pubblica, e tale Giampiero Franchini, uno che si ritrova a possedere questa società, e che garantisce una cosa che a volte nello sport serve, i soldi.

Presidente della società viene fatta la Sig.ra Graziella Bragaglio, nota nel mondo della pallacanestro per l'indubbio merito di ricoprire il ruolo di moglie del Signor Bonetti.

A questa combriccola, si aggiungono una piccola schiera di soci minori che, guidati chi dall'amore per il basket, chi da interessi di bottega, decidono di versare una piccola somma di denaro (tipo € 5000,00 o giù di lì, e si prega il lettore di memorizzare questo dato per il prosieguo del racconto) e entrare in società.

Ebbene, dopo la classica stagione di assestamento e la successiva promozione in serie A2, si arriva all'estate del 2011 quando si deve affrontare un campionato di vertice per centrare quella promozione che permetterebbe a tutti di realizzare il mantra politico "Brescia deve avere una squadra di basket in serie A".
Ecco, nonostante l'appoggio politico, qualcosa all'interno del summenzionato ben nutrito gruppo, si rompe.

I soci iniziano a litigare (e questo modesto commentatore non entrerà nel merito delle ragioni e dei torti perché si accorge che la propria disonestà intellettuale non gli permetterebbe di essere obiettivo), chi vuole comandare, chi è stufo di farsi comandare, chi squittisce dall'alto dei famosi 5000,00 Euro versati.

Ad ogni modo, il 15 settembre del 2011, si arriva alla scissione, Bonetti, la Bragaglio e i soci di minoranza da una parte (valore del capitale sociale versato: n),  Franchini, un altro e i soldi dall'altra (valore del capitale sociale versato: n+un fantastilione).

Ora, cose che capitano, ovviamente.

E, infatti, i giornali bresciani partono subito a tranquillizzare i tifosi: "Brescia deve avere una squadra di basket in serie A".

Il potere politico dà una mano, cercando sponsor, cercando di abbattere i costi per la squadra ("La palestra comunale? No, figurati se te la faccio pagare, Brescia deve avere una squadra di basket in serie A").

Si trova anche uno sponsor d'eccezione, la Centrale del Latte S.p.a., che, per puro caso, risulta essere partecipata e controllata da un ente del tutto estraneo a questa vicenda, il Comune di Brescia.

Giungiamo dunque al punto che il Comune, direttamente o indirettamente, di fatto spende i soldi dei cittadini per mantenere una società di basket privata che viene seguita da 2000 persone (su 300.000, esclusa la provincia) e tutto perché "Brescia deve avere una squadra di basket in Serie A".

Ora, visto che i tempi sono duri e, ogni tanto, tra un canestro e l'altro, tocca anche spendere due soldi per rifare le buche delle strade, seppure con atavica calma, capita che il Comune debba aprire le braccia e dire: "Caro Bonetti, hai litigato con l'unico socio che portava soldi, io ho fatto quello che ho potuto, ora tocca a te metterci del tuo perché Brescia deve avere avere una squadra di basket in Serie A".

Immagino, quindi, Bonetti rivolgersi ai soci di minoranza: "Signori, i tempi sono duri, mettiamo mano al portafoglio". Soci: "...". Bonetti: "Dico davvero". Soci: "...". Bonetti: "Sono serio". Soci: "...". E così via.

Ecco allora il coup de theatre, essendo ormai la squadra senza più soldi, cosa si decide di fare? Be', nella migliore tradizione italica, ci si rivolge ai cittadini (sì, quei 2000, sì, quelli che mantengono il Comune di Brescia con le proprie tasse) con la geniale campagna "Il tuo assist per la Leonessa".

Un giornale bresciano, con l'entusiasmo e l'onestà intellettuale tipica dei giornali, titola addirittura "Il sogno della Centrale: l'azionariato popolare", nella speranza, non vana peraltro, che quella che è una semplice richiesta di elemosina, possa essere interpretata come il primo grande passo verso una nuova struttura di società sportiva.

Stranamente, alcune delle menti più eccelse del tifo bresciano ci cascano e iniziano a versare, senza avere alcuna garanzia sull'azionariato popolare, senza avere nessuna garanzia che, pagati gli stipendi ai giocatori per i mesi di aprile e maggio, la squadra a settembre ancora ci sarà, con l'unica garanzia che, una volta versato, il proprio ruolo sarà valutato all'incirca così: 0.

Ma diciamocela tutta, "Brescia deve avere una squadra di basket in Serie A". Sì, anche se non ci sono soldi. Sì, anche se i problemi sono altri. Sì, anche se di lavoro ce n'è poco. Sì, anche se il Comune dovrebbe pensare a fare il Comune. Sì, anche se l'unico imprenditore che ci metteva i soldi è stato allontanato da chi ora non ne ha, non ne mette e li chiede ai bresciani.

Sì, Brescia se la merita una squadra di basket in serie A.

giovedì 22 marzo 2012

A real life/3 - Oliviero Diliberto

Oliviero Diliberto nasce a Cagliari nel 1956 da una famiglia borghese. Non sappiamo molto dei suoi anni giovanili, ma, viste le scelte che farà in futuro, possiamo immaginare che non siano stati un granché.
Laureatosi in giurisprudenza, diventa professore di diritto romano. Che è un po' come un ingegnere che diventi professore di storia dell'ingegneria. O un filosofo, professore di storia dell'automobile. O un muratore, professore.
Grazie alle proprie capacità viene universalmente riconosciuto come romanista di fama internazionale tanto da collaborare in qualità di consulente per istituzioni cinesi. Sì, istituzioni cinesi, sì, diritto romano, sì, la Cina degli anni '80 pre-boom. No, non ha alcun senso, ma la pagina di Wikipedia, presumibilmente scritta dallo stesso Diliberto, così riporta e noi ci atteniamo.
Già a 13 anni è iscritto ai circoli giovanili del PCI, dimostrando quanto sia vero il proverbio "Solo un idiota non cambia mai idea".
Sui primi anni di militanza ha dichiarato: "Non avevo nessuna passione per le esperienze cinesi. Assistevo allibito alle eterne discussioni sul Libretto Rosso di Mao. Non avevo nemmeno il mito del Che". Praticamente stava lì per la figa. 
Nel 1991, a seguito dello scioglimento del PCI, confluisce in Rifondazione Comunista, diventandone membro attivo, tanto che, tra il '94 e il '95 dirige il settimanale del PRC "Liberazione" (oggi quotidiano, domani chiuso).
Nel '98, da Capogruppo alla Camera, aderisce al PdCI, a seguito dello scisma interno, non volendo aderire alla sfiducia al Governo Prodi promossa da Bertinotti e votando a favore dell'intervento militare in Kosovo. Ma solo perché ancora non esistevano le bandiere della Pace.
Diventa così Ministro di Grazia e Giustizia nel Governo D'Alema sino al 2000. Durante il suo mandato, ci ricordiamo la grande riforma del..., nonché la presa di posizione in materia di....
Tuttavia, nonostante la sua strenue attività di Ministro, qui sopra ampiamente descritta, Diliberto ha avuto anche l'indubbio merito di riportare in Italia Silvia Baraldini (condannata nel 1983 a una pena cumulativa di 43 anni di carcere negli Stati Uniti per concorso in evasione, associazione sovversiva, due tentate rapine e ingiuria al tribunale), scambiando di fatto la cittadina italiana con due tizi americani che si trovarono coinvolti in un brutto incidente
Nel 2004, da Parlamentare, incontra il leader di Hezbollah Ḥasan Naṣrallāh, non suscitando alcuna reazione da parte dei gruppi pacifisti cui aderisce e sostiene.
Negli anni seguenti tenta in ogni modo di ricomporre il vecchio partito comunista, facendo confluire sotto un unico tetto tutti i piccoli partiti nati dopo la disgregazione di Rifondazione. Purtroppo non esistono ancora microscopi abbastanza potenti per capire se sia riuscito o meno nell'intento.
Recentemente ha destato scalpore una sua foto a fianco di una manifestante che portava una maglia con la scritta "Fornero al cimitero". Diliberto ha giurato di non aver visto la maglia.
Attualmente è docente universitario, presso l'Università La Sapienza di Roma, di "Isituzioni Di Diritto Romano". Questo blog propone un premio in denaro allo studente che, per mero amor di scienza e verità, si presenterà ad una sessione di esami con una maglietta con la scritta "Diliberto culo aperto".